Il ricordo di questo film, in cui ancora una volta Troisi si è
trovato impegnato nella duplice veste di regista ed attore, rimarrà
per sempre legato ad una curiosa battuta che Vincenzo (Troisi) dice a Tonino
(Lello Arena) in riposta al quesito postogli e cioè se fosse meglio
un giorno da leone o 100 da pecora. La mitica risposta è: "Che ne
saccio Tonì...meglio 50 giorni da orsacchiotto accussì nun
fai 'a figur' 'e merd' ra pecora, ma manc' 'o leone che campa nu jorn'
sul'...".
Insieme a Ricomincio da tre, Scusate il ritardo ha costituito senz'altro
la parte più indimenticabile della produzione troisiana, quella
i cui personaggi hanno fornito ritratti efficaci delle nuove tipologie
napoletane.
Massimo Troisi aveva la passione per l'inquadratura, specie quella
fissa, vista come momento significativo ed adatto a sottolineare gli umori
e gli stati d'animo dei personaggi ed inoltre, per un certo tipo di formalismo,
espressione vera e propria della "forma" filmica. Sembra infatti che Troisi
si interessi solo ai contenuti dei suoi film, ma in realtà la cura
per la loro forma è molto forte.
In Scusate il ritardo Troisi non lavora su grandissime idee ed il film
non ha un ritmo narrativo molto scorrevole. E' però un film comunicativo,
fragile, scritto ed interpretato con spiccata personalità e con
umorismo.
La semplicità, l'analisi delle cose della vita piccolo borghese
di ogni giorno, le sottili sfumature di sentimenti e sensazioni sono gli
ingredienti principali di Scusate il ritardo.
Questa seconda pellicola è stata così chiamata da Troisi
perché veniva realizzata quasi tre anni dopo il fortunatissimo Ricomincio
da tre. Anche in Scusate il ritardo Troisi agisce nella Napoli del dopo
terremoto, vestendo i panni di un disoccupato che vive ancora a carico
della famiglia.
Ai suoi problemi, aggiunge quelli dell'amico Tonino, che soffre per
delusioni sentimentali.
Il film è sicuramente comico, ma fa delle riflessioni molto
serie, traducendo in immagini filmiche il dramma di un giovane degli anni
'80 che non sa decidere quasi su niente: amori, lavoro, stile di vita.
E che è poi un mix di opposti: simpatico/antipatico,nevrotico/tranquillo,
pignolo/distratto, invidioso/contento del successo altrui.
Nella frase "meglio 50 giorni da orsacchiotto..." è racchiusa
tutta la filosofia di Vincenzo: l'essere titubante e timoroso per tutto
ciò che potrebbe accadere e per questo non prendere mai decisioni.
Si capisce chiaramente che l'indecisione, la superficialità che
caratterizzato il personaggio di questo film sono elementi impregnati di
autobiografismo: i timori, i dubbi e le poche convinzioni di Vincenzo sono
in fondo gli stessi di Massimo.
Scusate il ritardo è stato considerato dalla critica l'opera
migliore dell'autore partenopeo, visto lo spessore tematico ed artistico
e la forza e l'efficacia con cui Troisi riesce a a scavare all'interno
della sua anima.
Tra i personaggi, ritroviamo quelli sempre cari a Troisi: l'amico oppressivo
ed appiccicoso, la donna troppo emancipata, la famiglia invadente. In particolare
la figura dell'amico abbandonato dalla fidanzata è molto interessante
e ci riporta un po' ad un personaggio presente nella letteratura greca
e latina: il "vinto d'amore".
Il tema principale di Scusate il ritardo è l'amore espresso
nel difficilissimo rapporto uomo-donna. Anna (Giuliana De Sio) riveste
un ruolo delicato e molto comune nella vita reale: quello della donna che
cerca nel partner una sicurezza che forse non potrà mai ricevere.
In questo film c'è un riferimento profondo al Woody Allen anni
'70 ed all'impantanamento nel dibattito amoroso e nell'introspezione.
La trama: Vincenzo, giovane disoccupato napoletano, conduce una vita
monotona tra famiglia e soliti amici, nonostante abbia ormai 30 anni. In
particolare trascorre il suo tempo con Tonino, il suo migliore amico che
sta attraversando un periodo di depressione per delle delusioni amorose.
Vincenzo incontra Anna, ma anche lei non riesce a scuoterlo dall'apatia
e dalla pigrizia: è proprio un uomo che non sa decidere, che non
vive ma si lascia vivere. La fine del film è piuttosto emblematica
e vede Vincenzo che piange la donna che ormai l'ha abbandonato nel suo
mondo cupo, oscuro e senza certezze. Ma Anna, nell'ultimissima scena, tornerà
a parlare con lui. Il finale rimane comunque aperto, a libera interpretazione.
"Il personaggio di Vincenzo non pensa a lasciare Napoli...", dice Antonio
Tricomi,"...come il Gaetano di Ricomincio da tre...Vincenzo è pigro,
nevrotico, fatalista ed intrappolato in rapporti affettivi tanto rassicuranti
quanto asfissianti. In questo film Troisi ha saputo cogliere gli umori
della sua generazione, passata dalle aperture utopistiche ad un sedentarismo
domestico e claustrofobico, dalla foga contestataria fino ad un'insofferenza
diffusa, dai miti della rivoluzione sessuale ad una paralizzante insicurezza
nei confronti delle donne". Questa critica è una di quelle che ha
più esattamente centrato gli scopi, le tematiche ed il messaggio
dell'opera.
Dal punto di vista tecnico, il film è pieno di inquadrature
troppo lunghe e ferme, ha un ritmo ancora piuttosto lento, ed è
ricco di ripetizioni inserite da Troisi per la voglia di approfondire e
puntualizzare.
Massimo Troisi è un coraggioso, è uno che si mette sempre
in discussione e così ha fatto anche in questo film, che pur essendo
molto comico nella forma, trabocca una tristezza enorme. In questo ci ricorda
l'episodio del film di Alberto Sordi "Le coppie", dove Erminia e Giacinto
Colonna sono due patetici personaggi, la cui storia di poveracci che non
vengono accettati in nessun albergo di lusso, è pero' intrisa di
una tristezza profonda e diversa da quella del film di Troisi.
Il regista napoletano ha definito questo suo secondo film come il film
"della paura". Infatti, anche se il film risulta gradevole e perfino delizioso,
in realtà i temi e lo stile sono cupi e pieni di oscurità.
Troisi sembra quasi essere minimalista in questo film, è una sorta
di David Leavitt napoletano in trasposizione cinematografica e non disdegna
nemmeno uno sguardo al nuovo neorealismo ed alla commedia italiana di costume,
senza eroismi, ma con molta introspezione.Troisi è un intimista,
che costruisce un film dove il protagonista opera quasi solo su sè
stesso.
L'aspetto più indagato nel film è l'inadeguatezza in
cui si trova un uomo al giorno d'oggi davanti ad una proposta d'amore totale,
che impaurisce e sembra troppo scontata.Il finale del film è la
parte più interessante, quella in cui si sciolgono molti nodi ed
attraverso i punti di fuga si gusta in pieno il messaggio.
Le inquadrature del film sono sempre molto strette e ferme sull'oggetto
interessato, c'è un'esasperazione quasi claustrofobica dell'inquadratura
ferma e statica, che racchiude in se l'incapacità di uscire dal
chiuso di una stanza,di un guscio, di un bozzolo di vita. Napoli, nelle
inquadrature non è mai presente, ma è intuita, sono molto
più presenti le scene di interni. E' difficile capire cosa voglia
veramente dire il Troisi-regista attraverso un movimento di macchina o
un'inquadratura. Forse, ad esempio, l'inquadratura fissa vuol dire proprio
questo: che anche se ci fissiamo su qualcosa e' inutile illuderci, la stabilita'
non esiste nella vita. La fissità dell'occhio della m.d.p. è,
quindi, contrapposto all'occhio di Troisi-regista che vede tutto come estremamente
labile ed instabile.
C'è una lezione fondamentale lasciata da Eduardo de Filippo,
presente nel film: in un testo, qualsiasi testo, intelligenza ed impegno
non sono per forza sinonimi di noia e barbosità, e si possono tenere
allegre le persone raccontando loro storie serie,magari tragiche ed essenziali
camuffandole con il "vestito della domenica", ossia quello comico.
Massimo Troisi usa questo film anche per esplorare i problemi della
coppia moderna, su cui conduce un'indagine molto accurata e raffinata.
Tutto l'insieme delle tecniche e della recitazione è volto ad una
comicità disarmante.
L'illuminazione è un'alternanza di luce/penombra, il quadro
è un po' oscurato c'è questa pioggia scrosciante ed angosciante,
che scende giù soprattutto nei momenti in cui Vincenzo scende giu'
in strada a consolare l'amico Tonino.
La recitazione usata punta molto sul timbro e sul tono della voce,
ora nervosa, ora pacata, ora triste e,come sempre, anche sulla mimica e
sulla gestualità troisiane più tipiche.
I costumi sono molto semplici tendenti quasi al povero ed all'essenziale
e vogliono sottolineare l'espressione di una vita semplice;Troisi, anche
in teatro, sceglieva sempre costumi poco elaborati.
La scenografia è quasi sempre una stanza: o è la stanza
di Vincenzo, o del professore a cui occupa la casa di nascosto per portarci
la fidanzata o, ancora è la stanza della madre, dove Vincenzo e
Patrizia rifanno il letto.
Il ritmo del film è piuttosto lento, i tempi di battuta altrettanto
lenti ed il film è, ad ogni modo, caloroso ed emozionante. Troisi,
pur essendo al secondo film, sembra essere già diventato un veterano
del cinema napoletano: forse è la sua grande semplicità ed
il puntare sulla quotidianità degli avvenimenti che lo rende così.
Sulle opere di Troisi c'è sempre stato un certo linciaggio critico,
forse perché pensando al cinema commerciale, il desiderio è
sempre stato quello di fare di ogni erba un fascio. Ma l'opera di Troisi
andrebbe recuperata...Non si può generalizzare sulla commercialità,
sul fare film "leggeri", ma forse il fatto che siamo in un'epoca fortemente
tecnicizzata e tutto il cinema è impiantato su un tipo di sperimentazione
cineaudiovisiva, rende il cinema di Troisi in apparenza leggero e facile.
Non che la generazione dei nuovi comici non abbia colpe, ma non è
neanche giusto declassarli così.
Invece Massimo Troisi, giovane regista in questo secondo film, ha superato
brillantemente il primo banco di prova professionale, sperimentando una
nuova narratività filmica, che guardando molto sia al passato che
al futuro, punta su di un nuovo "soggettivismo" dei sentimenti. Lo stile
di Troisi, nel profondo minimale ed un po' "underground", è sul
piano formale tenero e malinconico, come tutta la sua produzione.
La mimica di Troisi, è, come al solito, clownesca ed accenna,
con le sue facce buffe e le sue espressioni onomatopeiche, quasi al cartone
animato ed alle gag del vecchio cinema muto. Si ha la sensazione di generi
cinematografici diversi che si mescolano e stemperano la carica disturbante
di alcune scene in un insieme da opera buffa. Troisi-regista spesso si
sente un po' violentato dalla m.d.p., che travisa quello che lui ha da
dire, gli da un alone di opacità e fa si che consegni allo spettatore
un soggetto sottoposto ad una manipolazione, oltre che dello sguardo, delle
conoscenze mentali dell'autore stesso.
Il film è, tra quelli di Massimo Troisi, uno di quelli più
scomponibili e ricompattabili,essendo privo di continuità cinematografica,
anche se la struttura del film è piuttosto salda. L'autore ha lavorato
molto su questo film per curare personalmente regia, soggetto, sceneggiatura
ed interpretazione del protagonista.Il finale del film è piuttosto
ambiguo ed aperto, è visibile all'orizzonte un happy end, ma diverse
scappatoie lasciano intravedere anche una mancata risoluzione del problema
della coppia. Questo è dovuto anche allo script del film, che si
presenta come spezzettato in vari punti.
I film di Troisi appartengono ad una generazione che non è assolutamente
caratterizzata dal dinamismo assoluto della cinematografia americana dello
stesso periodo. Ma Troisi era favorevole al cinema americano, ammirava
l'uso di certi effetti speciali e di certe tecniche, in cui riscontrava
anche messaggio e sensibilità. I sui film sono invece semplici:
poche dissolvenze, carrellate, panoramiche ed angolature particolari: i
registi moderni, adoperano pochi m.d.m. quasi avessero paura di turbare
la scorrevolezza del film.
Il montaggio, momento di creazione artistica che ricorda da vicino
le tecniche del collage, è in questo film assemblaggio, giustapposizione
di materiali figurativi e verbali ricavati da più 'diversi ambiti
contestuali.Si tratta di una fase combinatoria, molto impegnativa e molto
sofferta, per la selezione delle scene e delle sequenze e per gli inevitabili
tagli. Il montaggio di Scusate il ritardo, ricordiamo, è di Antonio
Siciliano.
La colonna sonora in questo caso non è di Pino Daniele, ma di
A.Sinagra.
L'ultima scena del film si concretizza in un fermo immagine di Vincenzo
che dice ad Anna: RESTA!, un grido di disperazione di un uomo che non ha
il coraggio di prendere una decisione ed alla fine, con grande fatica,
cerca di prenderla lo stesso.
In sintesi, il secondo film di Massimo Troisi, e, forse, veramente
quello più riuscito e più compatto.
E' una grande commedia familiare degna della miglior tradizione teatrale
dei De Filippo ed è il tributo che Troisi ha dovuto pagare alle
proprie origini ed a una nuova, se pur antica, napoletanità.