Un cortometraggio: Morto Troisi, viva Troisi
(1982).


In questo cortometraggio del 1982 è la morte la figura strutturante del discorso filmico, che, però, non è vista né sentita in modo tragico, almeno apparentemente, ma è un pretesto per riflettere su quest'evento naturale e, forse, addirittura per riderne su con gli amici.
In Morto Troisi... ritorna una caratteristica tipica dei film troisiani: la maledizione del corpo. Ancora una volta c'è questo corpo troppo presente, anche se questa volta non si tratta di un corpo vitale e spumeggiante come al solito, ma di un corpo morto, inerme, senza vita che Troisi indaga dal di fuori come se non fosse il suo.
Morto Troisi... è il frutto del distacco di Massimo che mette in discussione sé stesso e la possibilità, data per scontata di poter vivere a lungo, anche in senso artistico ed escogita, perciò, una trovata che gli permette di contemplarsi e di essere spettatore addirittura della propria morte.
Enrico Ghezzi, in "Scena- marzo '82", sottolinea proprio la genialità del comico napoletano. In questo film troviamo ancora una volta quel messaggio, quella ricerca quasi utopistica di un "io" che sia alla fine collettivo oltre che individuale e che sappia fronteggiare i mutamenti sociali ed i fatti normali della vita quotidiana con delle vere e proprie piccole rivoluzioni.
la trama del film è piuttosto inesistente. Dalla prima scena, in cui c'è Troisi morto, adagiato su una bara ed attorniato dagli amici che gli danno l'ultimo saluto, è chiaro l'andazzo di tutto il resto del film. Gli amici che parlano (male) di lui sono quasi tutti altri appartenenti al filone dei "Nuovi Comici". Ci sono Verdone, Nichetti, Lello Arena, tra gli altri, e Roberto Benigni, che interpreta un finto napoletano.
Questo cortometraggio è stato costruito da Massimo Troisi in modo da inscenare la propria morte, per poter poi narrare postuma la sua carriera e la sua vita. Morto Troisi, viva Troisi è rimasto quasi sconosciuto al grande pubblico, me è evidente che dopo il successo di Ricomincio da tre non poteva essere altrimenti. Questo è successo anche perché non si tratta di un vero e proprio film, ma di un corto, una sorta di documentario artistico televisivo, in cui si parla e si indaga sulla vita di Massimo Troisi.
I suoi amici e colleghi, in una girandola di dichiarazioni e spezzoni di film, parlano di lui in maniera molto strana.
Questo esperimento si potrebbe quasi definire un film di montaggio, dal momento che è composto da una serie di apparizioni televisive, di frammenti tratti da interviste, di spezzoni di film e di interpretazioni teatrali del comico.
Nella prima scena è visibile la camera ardente occupata dalla "salma-Troisi" ed i numerosi amici sono lì per testimoniare il proprio cordoglio. C'è un enorme senso, forse un po' latente, di grottesco e provocatorio. Il tono della provocazione è, però, assolutamente distante da ogni forma auto-celebrativa, nonostante il risaputo narcisismo autorappresentativo che pervade un po' tutto quanto il cinema troisiano.
Massimo Troisi, parlando di se e della propria morte, sovverte un certo tipo di narrazione filmica ed introduce elementi ironici, grotteschi, perturbanti e perturbatori dell'insieme,nonostante la loro necessità di esserci per creare una struttura organica. Questi elementi possono essere identificati nel Lello Arena finto angelo custode o nel Benigni che parla male ed in maniera piuttosto irriverente del morto.
Il progetto di Morto Troisi... risale ai primi anni '80, immediatamente dopo il successo di Ricomincio da tre, quando in Italia esplode il boom dei Nuovi Comici. Infatti, in quel periodo, oltre a Troisi, ci saranno Verdone, Moretti, Abatantuono, Nuti e molti altri a realizzare film divertenti, a volte un po' di cassetta, ma che comunque stravolgeranno le classifiche degli incassi.
Massimo Troisi all'inizio non si mostrò molto interessato a fare questa sorta di documentario autobiografico, soprattutto perché, avendo fatto un solo film, la cosa gli appariva esagerata. Avendo, però, ricevuto campo libero sulla realizzazione del progetto, allora pensò di mettere in piedi un'idea che lo tentava da un po' di tempo: quella di fingersi morto e di raccontare la propria vicenda a posteriori. Racconta così questa grottesca situazione con un corto fatto dal montaggio ad incastro di vari spezzoni di repertorio, di film e di interviste.
La scena di apertura è commentata da una voce "da documentario", che la descrive asetticamente inserendo uno alla volta tutta una serie di flashback: premi, apparizioni TV, interviste e spezzoni di film. C'è una piccola diavoleria operata dal regista: Troisi ha mescolato, per la realizzazione del corto, materiale autentico con materiale costruito, assemblando il tutto in una forma di fiction, di irrealtà nella realtà.
Un esempio simpatico di quest'operazione è dato dalla rivisitazione in flashback delle premiazioni di Taormina e Sorrento mischiati ad opere di pura finzione, come quando Massimo, pur di stare tranquillo in un maneggio, si finge la principessa Anna d'Inghilterra.
La cosa più interessante del corto, comunque, rimane la particolarità del concetto di morte, che viene vista come "luogo" dove si può fare di tutto. I personaggi che parlano di Troisi sono alla fine Troisi stesso, la sua coscienza critica ed ironica che smussa e rovescia il pietismo dei programmi rievocatori.
Troisi, come autore è, in genere, molto autorappresentativo, ma in questo corto non si celebra, al contrario crea tutta una serie di situazioni con personaggi che parlano male di lui. Il cineasta ha saputo mettere in discussione sé stesso e tutta la generazione di Nuovi Comici, mettendo soprattutto in evidenza quanto il futuro della comicità sia indirizzato verso una situazione di decadenza ed un processo di demitizzazione.
Infine, cosa ha espresso Troisi con questo cortometraggio? Tutti i registi hanno sempre iniziato con dei cortometraggi, visti come palestra per la regia vera e propria, ma Troisi aveva già fatto un film e quindi ha usato quest'opportunità non per farsi conoscere, ma per parlare di un argomento per lui molto importante.
Si è limitato ad usare la morte come stratagemma, la TV come mezzo, a far parlare gli altri male di sé a mescolare verità e bugie e, non ultima cosa, a prendere in giro la critica e gli attori.
Tutto sommato possiamo dire che è riuscito a fare una volta tanto, osa estremamente rara negli ultimi anni, un buon prodotto destinato alla televisione.


Claudia Verardi
....Napoletanita'