LA PRODUZIONE TEATRALE
CON "LA SMORFIA", IL CABARET.



San Giorgio a Cremano (Napoli): il 19 febbraio 1953 nasce Massimo Troisi, uno dei più innovativi comici italiani degli ultimi anni.
Massimo Troisi: un attore quasi "cosmico", nel senso meno generico del termine.
Massimo Troisi: grossa padronanza scenica e tempi comici quasi perfetti nella loro imperfezione.
Massimo Troisi: attore, prima ancora che di cinema,di teatro e di cabaret, fautore di spettacoli nei caffè, nei ristoranti e nelle palestre, dove organizzava per Natale (e non solo...) assieme ai suoi amici feste per i bambini e tanti spettacoli, tra cui quelli di burattini.
Massimo Troisi: creatore di uno stile particolare e nuovo che utilizzava i temi e le tecniche propri del teatro rudimentale, per fonderli ed arrivare ad un tipo di teatro d'avanguardia per cui la sperimentazione è l'elemento principale.
Ma Troisi chi era, cosa faceva veramente?
Massimo era tutto questo e molte altre cose ancora, era un attore che ha saputo costantemente intrecciare il versante ilare e paradossale della vita con la zona incantata e, talvolta, malinconica dominata dai sentimenti e sopratutto dall'amore, incarnando spesso personaggi troppo sensibili, impacciati, indifesi ma, soprattutto, disorientati di fronte al quotidiano che cambia in continuazione.
Massimo Troisi iniziò a fare teatro un po' per caso, quasi trascinato dai molteplici amici, tra cui Beppe Borrelli, Lello Arena, Gaetano Daniele e Lucio Mandato.
Le prime rappresentazioni, ancora piuttosto amatoriali, si svolgevano nelle scuole ed erano delle rappresentazioni molto semplici, che avvenivano soprattutto nell'Istituto Tecnico per geometri da lui frequentato.
Il primo centro creato da Massimo Troisi con altri colleghi tra cui Beppe Borrelli, dove si svolgevano queste nuove sperimentazioni, si chiamava "t-minuscolo" ed era frequentato da questi giovanissimi attori che facevano esperienze e si rifacevano ai primi movimenti di sinistra degli anni '70. Erano gli anni in cui erano fortemente in auge le famose "Feste dell' unità", a cui pure Troisi, talvolta, partecipava. Dopo questo primo progetto e dopo aver militato nel gruppo per un po', Massimo e compagni crearono il "CENTRO TEATRO SPAZIO", a via San Giorgio Vecchio 27, dove il tipo di teatro fatto dai nostri, era diventato dichiaratamente di matrice politica.
Il tutto era svolto in maniera volutamente grossolana, con Troisi sempre in calzamaglia nera o, comunque, con abiti semplici, e con scene e costumi piuttosto scarni ed essenziali. I ragazzi scrivevano pezzi sui vari politici, sul Papa, su Andreotti, insomma, tutte cose più o meno d'intervento politico. In questo centro il gruppo cercava di far confluire tutte le altre passioni: gli amici, le donne, le marionette per i bambini del quartiere, i cui spettacoli radunavano i loro piccoli fans tutte le domeniche mattina.
Il gruppo, durante gli inizi spesso non veniva neanche pagato e recitava quasi esclusivamente per gusto e per passione. Ricorda Beppe Borrelli: "Una volta, dopo uno spettacolo c'erano dei tipi piuttosto ruspanti che volevano regalarci addirittura un maiale... e Massimo disse... no, no ...aro' c'ho mettimm'... (no, dove lo mettiamo).
Il primo loro spettacolo di una certa importanza fu "Crocifissioni d'oggi", a cui seguirono diverse altre opere teatrali, tra cui "Si chiama Stellina", commedia brillante in due atti di Massimo Troisi che, intanto, comincia a diventare la guida, il leader dell'intera banda. Il gruppo, ormai noto col nome di "Rh_Negativo " farà tanta gavetta ed inizierà a girare per i teatri, tra cui l'attuale "Bruttini" di Port'Alba a Napoli, fino ad arrivare al San Carluccio, dove però saranno ormai definitivamente in tre ad esibirsi: Lello Arena, Enzo Decaro (vero nome Purcaro) e Massimo Troisi. Decaro, già amico di Lucia Cassini dei "Cabarinieri", che lavoravano regolarmente al San Carluccio, riusciì a far inserire il gruppo nei programmi del teatro. Bisogna, comunque, porre un accento piuttosto forte sul fatto che all'epoca c'erano moltissimi fermenti nuovi, l'energia schizzava fuori da ogni parte d'Italia, specie da Napoli che è sempre stata una capitale artistica e particolare da cui provenivano tendenze nuove. Il periodo fine anni '70 inizio '80 era un periodo di maggior concentrazione e sviluppo di idee rispetto ad adesso,un periodo in cui i movimenti artistici coinvolgevano molto i giovani, forse perché c'era più aggregazione e scambio tra le nuove leve, che si organizzavano e si inventavano molte più cose di adesso.
"LA SMORFIA", quindi, ha dato un apporto creativo notevole al teatro ed allo spettacolo italiano, con i suoi sketch innovativi e di tendenza.
 
 

CENTRO TEATRO SPAZIO
Via S. Giorgio Vecchio, 27
S. Giorgio a Cremano (Na)

MARTEDI 6 GENNAIO
ORE 19:30
IL GRUPPO RH NEGATIVO
presenta

"Si chiama Stellina"

Commedia brillante in due atti di
Massimo Troisi

con
Annalisa Verolino Lucio Mandato
Antonella Rumolo Massimo Troisi
Gaetano Daniele Beppe Borrelli













All'inizio, i temi delle loro scenette erano scottanti e molto d'attualità: politica, aborto (in "Crocifissioni d'oggi") e poi, pian piano, iniziarono a tramutarsi in qualcosa di molto più comico ed un po' meno dissacrante. C'è da dire che, ad ogni modo, il gruppo di Massimo Troisi, non ha mai preso delle posizioni shierantiste attive, sebbene l'orientamento politico, dichiaratamente di sinistra, sia sempre stato puntualizzato. Troisi, tra l'altro, ha più volte dichiarato di aver imparato parecchio dall'opera di Pier Paolo Pasolini, da sempre attivista di sinistra e militante in quel partito.
Il teatro di Massimo Troisi è stato talmente forte ed interessante,come quello di molti altri colleghi del periodo, che noi pubblico, noi spettatori ancora oggi ci sentiamo legati ai suoi personaggi, alla sua comicità ed alle sue battute, oramai mitiche; forse questo è dovuto ai grandi fermenti degli anni '70-'80, che purtroppo oggi non trovano quasi nessun valido riscontro. Infatti, oggi è veramente difficile pensare al nuovo, averci dei rapporti, e cosa ci resta? Meglio rimanere ancorati alle vecchie cose...
Ritornando al teatro troisiano, fermento e sperimentazione sono proprio gli ingredienti principali dello spettacolo che fu prima degli "Rh-Negativo" e poi dei "Saraceni", questo il nome del gruppo quando arrivò al San Carluccio.
In quegli anni '70, in cui l'arte, ovvero il teatro, la musica, il cinema... e tutto il resto viveva una rinascita, i nuovi fermenti erano in agguato, pronti a scattare.
A Napoli c'era "La Nuova Compagnia di Canto Popolare" di Roberto De Simone, che rinnovò moltissimo la musica napoletana, c'erano cantautori di grosso impegno politico e sociale, come Edoardo Bennato e Pino Daniele e gruppi di base come le "Nacchere Rosse", legati alle lotte operaie ed al movimento dei disoccupati organizzati, molto attivo in quegli anni. E', quindi, proprio in questa situazione culturale che nacque, crebbe e si sviluppò, attraversando varie fasi e cambiando di volta in volta nome e formazione, il gruppo di Massimo Troisi.
I Saraceni, così, dopo tantissima gavetta, diventarono La Smorfia ed approdarono in TV a "Non Stop" di Enzo Trapani, un regista molto attento alle nuove tendenze, che seppe guardare ad un'altra leva oltre a quella dei Montesano e dei Villaggio, che avevano bisogno di essere accostati a qualcosa di nuovo. Trapani diede a questi giovani l'occasione giusta: il fortunato ed innovativo programma fece conoscere, infatti, oltre a "La Smorfia", Carlo Verdone, Marco Messeri, I Giancattivi con Francesco Nuti e molti altri ancora.
Il nome "La Smorfia" fu dato al gruppo da Pina Cipriani, direttrice del San Carluccio, che alla domanda: "Ma come vi chiamate?" ricevette, per l'appunto, in risposta da Massimo una smorfia. La cosa risultò talmente simpatica che, anche per scaramanzia, i tre adottarono questo appellativo. Il trio, ormai quello definitivo, si divideva i ruoli in questo modo: MASSIMO il "comico", LELLO ARENA la "spalla" che sa giocare anche di rimessa ed ENZO DECARO "l'utilitè, il jolly" bello e vagamente intellettuale, forse anche un po' snob nella sua altrettanto forte napoletanità.
Il trio era veramente agile, divertiva tantissimo ed iniziava a lasciare il segno con una comicità dirompente e graffiante. Già i nomi scelti sono un programma del loro modo di essere: prima "I Saraceni", nome simbolo di scorrerie che portano scompiglio nel tranquillo mondo borghese, poi "La Smorfia", che fa pensare ad altrettante scorribande nel mondo della comicità, soprattutto quella napoletana derivante dall'ultima commedia dell'arte e dal quel Pulcinella tanto amato e rinnegato allo stesso tempo.
Per capire fino in fondo la comicità della Smorfia è molto importante analizzare gli sketch. Ce n'è uno molto simpatico, in B/N, appartenente al periodo dei Saraceni, in cui i tre si presentano come se stessero in questura per fare delle foto segnaletiche e c'è una voce OFF, fuori campo (che poi risulta essere quella di Lello Arena ),che li presenta così:
PURCARO ENZO detto "IL MASCHIO ANGIOINO"
ARENA LELLO detto "IL BELLO"
TROISI MASSIMO detto "...'O PULICINELLA".
I tre sono fermi lì con le targhe numeriche di riconoscimento e la voce off continua: "Precedenti
penali: per ora incensurati, ma gravemente indiziati di successo continuato".
Da questo sketch è possibile quanta auto-ironia e comicità psichedelica sia contenuta nel loro lavoro. Psichedelia, certo! Questa definizione, personalmente, non la applico solo alla conseguenza di un eccesso di assunzione di LSD, ma la considero anche un effetto che può essere provocato da un'indigestione di teatro avanguardista, innovativo e comico tanto da estremizzare la comicità stessa. Gli sketch della Smorfia erano spesso musicati, accompagnati dalla chitarra di Decaro e, talvolta, anche intermezzate da ballate di chiaro sapore popolare. A volte erano proprio espressioni di denuncia, come "A Napoli si muore a tarallucci e vino", dove c'è Decaro alla chitarra, Lello Arena al tamburello ed, addirittura al "triccaballacche" (strumento partenopeo il cui nome deriva dall'onomatopeico suono prodotto dallo strumento stesso) Massimo Troisi, impegnati in uno straziante quanto bellissimo canto di dolore, tristezza e rabbia per la situazione napoletana.
Anche "La Smorfia", nonostante si trovasse in una situazione aperta, come quella del dopo riforma della RAI, ebbe qualche piccolo problema che li costrinse ad auto-censurarsi su qualche argomento o battuta pesante, come i tre riferirono poi in un'intervista a Fabrizio Zampa. La censura è stata, quindi un intralcio per il gruppo fin dagli inizi di Crocifissioni d'oggi (in cui si parlava tra l'altro di aborto), quando ancora non si poteva criticare apertamente il governo, le forze dell'ordine, la politica e perfino il sociale... forse la situazione oggi sarebbe stata diversa.
Le scenografie ed i costumi usati de "La Smorfia" erano semplici e rudimentali, venivano fabbricati da loro stessi, come ricorda Borrelli: <<era molto divertente costruirci le cose da noi... le sentivamo più nostre, facenti parte di un unico sistema...>>. Questo forse per enfatizzare la loro particolare recitazione che alcune volte, negli inizi, sfiorava quasi la pantomima; infatti era predominante nella loro produzione di quel tempo l'uso di un certo tipo di mimica e di gestualità a volte quasi sostitutiva della parola. Troisi in calzamaglia nera potrebbe ricordare anche un altro genere di teatro, quello dei mimi ed essere una sorta di Marcel Marceau napoletano, dotato di parola e di comicità immediata, insomma la versione diversa di una stessa cosa, due facce della stessa medaglia.
I temi trattati da "La Smorfia" erano tantissimi e tra di essi quelli prediletti erano soprattutto i religiosi. I fatti appartenenti all'immaginario religioso popolare, l'Antico e Nuovo Testamento erano spesso al centro della comicità che realizzava sketch esilaranti in cui i personaggi della storia Sacra sono presi affettuosamente in giro, senza intenzioni né risultati blasfemi. Così vediamo, quindi, nella famosissima scenetta della "Annunciazione" in cui l'Arcangelo Gabriele sbaglia continuamente nel dare la Lieta Novella della nascita del Salvatore a Maria.
Dice Massimo Troisi a proposito della religione: "La sfiducia atavica che i napoletani hanno nelle Istituzioni, nelle strutture sociali che dovrebbero risolvere erti problemi, li porta ad avere come interlocutori Dio, i Santi, il Paradiso, perché loro vedono questi qua più vicini di come fosse il Governo, Roma, o 'sti strutture, insomma...".
Quindi trasognato, perplesso, ironico, buffo e persino infantile: Troisi, fin dagli esordi del cabaret, agli approdi in TV ed al cinema, è stato fedele ad una cinematografia lieve nella forma e profonda nei contenuti.
Anche Francesco Nuti, in una intervista, ha descritto Troisi come un comico per le sue doti di spontaneità e gentuinità, forse l'unico vero nel panorama di quegli anni, insieme a Benigni altro personaggio mai forzato, che con il suo profilo e le sue impertinenze ricorda un po' Pinocchio. Troisi era un comico, non un "attor-comico", come tanti altri e come Nuti stesso si definisce: un attor-comico brillante alla Jack Lemmon.
Con la Smorfia, Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro, hanno inaugurato un tipo di teatro che attinge alla farsa napoletana classica, ma che ha in più una continua ricerca di nuovi linguaggi che anticipano la comicità del Troisi attore e regista, comico dalla gestualità più espressiva.
...E pensare che tutto ebbe inizio grazie forfait di Leopoldo Mastelloni al San Carluccio...
Alle spalle della produzione teatrale della Smorfia c'è la grande tradizione del teatro napoletano da Viviani ad Eduardo. Gli sketch della compagnia sono stati molto di più di gustose scenette, ma vere e proprie opere in pillole dotate di un proprio equilibrio ed una propria completezza artistica.
Dal '69 fino agli inizi degli anni '80, in oltre dieci anni di attività teatrale, il trio mise in scena una vasta gamma di sketch in cui venivano presentate, abilmente costruite, le caricature dei più diversi personaggi, partendo dal quotidiano, passando per il sociale, fino ad arrivare alle figure della storia Sacra.
Uno sketch celeberrimo è, tra gli altri, quello dell' Arca di Noé in previsione della fine del mondo, in cui Massimo cercava, con una buona dose di furfanteria, di ottenere dal Patriarca il permesso di salire sull'arca, spacciandosi per un immaginario animale: l'oramai mitico ed indimenticato Minollo.
Nel teatro della Smorfia troviamo pluralità di linguaggi e di forme espressive: le battute erano infatti giocate sull'espressività di più linguaggi, da quello verbale a quello mimico e gestuale, ironizzando su ogni cosa. In ogni gag, in ogni monologo l'intento principale era sempre quello di fuggire il luogo comune la veste superficiale del costume e del dialetto di Napoli. C'era, invece, una grossa volontà di ottenere consensi dal profondo, giocando sui pudori, sulle timidezze, e su quello che sulla scena non era dichiaratamente espresso ma sottinteso. Forse questi elementi sono stati fondamentali per il successo che ebbe la Smorfia, un consenso che è sopravvissuto al loro scioglimento.
Il gruppo si è saputo proporre al pubblico fondendo il vecchio col nuovo: se, infatti, è vero che il nuovo, la sperimentazione e le idee quasi trasgressive, costituivano una grossa fetta della loro "torta" teatrale, è altrettanto vero che alle loro spalle c'è la grande tradizione teatrale napoletana a cui hanno inevitabilmente attinto. Partendo dai retaggi antichissimi della Commedia dell'Arte, fino agli echi delle "pulcinellate" di Antonio Petito ed al varietà, all'opera dei pupi e dei burattini, passando attraverso il macchiettismo di Maldacea, le farse di Raffaele Viviani ed i grandissimi Eduardo e Totò.
I procedimenti comici usati dalla Smorfia si rifanno a quelli classici di questo tipo di teatro: ripetizioni, interferenze, situazioni farcite di gag e giochi di parole, microintrecci, camuffamenti e scioglimenti. Troisi, come abbiamo già detto, entrava in scena magrissimo nella sua calzamaglia nera e timidamente sembrava quasi volesse passare inosservato. Il suo corpo lo rendeva impacciato perché troppo "presente". Voleva, a volte, essere cinico o "fetente" ma non ci riusciva perché la sua vena di bontà veniva a galla sempre, anche nella finzione scenica.
Era sempre piuttosto dimesso, distratto, ipocondriaco e goffo. A volte era anche diffidente, ma la sua era la classica diffidenza del napoletano, che non scaturisce dalla vigliaccheria, bensì dall'insicurezza atavica che purtroppo i Napoletani si sono sempre portati dietro.
Il mondo della Smorfia è davvero un mondo fantastico, popolato da tanti personaggi dei quali dire particolari è dire poco. Angeli, rivali, Principi Azzurri, maghi, guappi, commissari di Polizia, truffatori, buffoni e sognatori: ecco il popolo delle scenette della smorfia, nel mezzo del quale si muove Massimo Troisi.
Ci, sono però, in questi sketch anche dei piccoli difetti da segnalare: le scenette presentano spesso dei finali non eccessivamente curati. Ho infatti notato che è come se le piccole e divertenti storielle di questo trio si stoppassero all'improvviso senza un finale adeguato ed all'altezza del resto del lavoro.
Ritornando ad Eduardo, Troisi ci ha guardato un po', se non altro all'Eduardo umorista, quello con in testa il pirandelliano berretto a sonagli della pazzia, intesa come diceva Pirandello, come più profonda coscienza del mondo. Questo è riscontrabile in Massimo Troisi che cercava di cogliere la realtà oltre le apparenze e di analizzare le gravi incrinature del sistema (ingiustizie, sfruttamento, abuso di potere) o il paradiso perduto (di quasi miltoniano sapore) di affetti sempre un po' claustrofobici.
Troisi ha attinto quindi molto dalla storia del teatro di Napoli, anche nel rapporto con la città, rifacendosi, tra gli altri a Raffaele Viviani che in "Un uomo e una città" descrive il rapporto tra un uomo e la sua città.
Anche i miti sono importanti per il teatro della Smorfia;tra gli altri quello della "guapparia" è molto interessante e ci riporta immediatamente allo sketch di "Pasqualino Parsifallo", ossia Lello Arena che cerca a tutti i costi di guappeggiare contro Troisi. Anche il mito del "marciapiede" è molto sentito nella cultura napoletana e da un paese che ama i miti e che ha sempre sentito il bisogno di crearseli, inventarseli, per riderne o, magari, per infrangerli di colpo, senza pietà.
Anche per gli artisti del passato gli inizi sono stati duri. Come Troisi e i suoi amici recitavano al CTS e nei sottoscala prima di arrivare ai palcoscenici dei grandi teatri, così i grandi napoletani del passato recitavano nei teatri di Porta Capuana, nei "casotti" sotterranei di Piazza Gesù e Maria ed erano davvero abilissimi comici, eredi dell'ultima commedia dell'arte, maestri di un'improvvisazione che diventa retaggio.
Già dai tempi di Maldacea, Scarpetta e gli altri, i napoletani,anche nell'intraprendere una professione, sapevano che la vita era dura e portavano questa consapevolezza nella loro arte e nel loro teatro. La consapevolezza di una umanità che vive in disparte, in segreto in certi bassi che sembrano tane: questo è il popolo di Napoli, un popolo che "cammina sott' 'o muro"come dice il testo di "Donna Concetta", una canzone di Pino Daniele. Massimo Troisi ha voluto sfatare anche questo, ha voluto dire ai napoletani: "Basta! E' ora di smetterla di sottovalutarci e di strisciare e di essere emigranti:Viaggiamo!!!!!!! ",nel suo lavoro c'è dunque tutta la voglia di rivalutare Napoli ed i napoletani.
Come passo' dal teatro al cinema Massimo Troisi? Quando i tempi diventano maturi, Massimo inizia a ricevere proposte per fare un film, anche come regista. Ma lui, che quasi non aveva mai fatto neanche una foto ed era a digiuno di tecniche cinematografiche,è titubante. Mauro Berardi gli offre, comunque, di interpretare la parte di Francischiello, l'ultimo re di Napoli spodestato da Garibaldi, in un film, però, scritto e diretto da Gigi Marchi: Troisi accetta, ma il film salta. Saltando questo progetto, Berardi propone a Massimo di scrivere una cosa sua e Massimo, con Anna Pavignano (conosciuta, intanto a Torino mentre registrava le puntate di NON STOP, dove lei faceva parte del pubblico figurante), mette insieme degli appunti e del materiale che già, in parte, aveva accumulato e buttò giù la prima fortunata sceneggiatura.
Di Massimo ne hanno parlato in tanti, ma vediamo cosa ricorda Lello Arena, uno dei suoi migliori amici.Un aneddoto curioso riguardante il nome del primo gruppo, Rh-negativo, prima di tutto: "...non sapevamo come chiamarci ed allora il primo di noi che si e' fatto le analisi, gli è uscito RH negativo, ed abbiamo deciso di chiamarci così..." . Arena continua nel ricordo della formazione del gruppo: "All'inizio eravamo molti, poi siamo rimasti in pochi, ne sono arrivati altri, tra cui Decaro ed alla fine siamo rimasti davvero solo noi tre, i più resistenti, non certo i migliori...".
Lello Arena si interrompe, a volte non riesce a parlare facilmente di Massimo. Ed allora passiamo ad un altro parere interessante, dato sull'operato de La Smorfia da un grande regista italiano, Nanni Loy, purtroppo anche lui recentemente scomparso. Sentiamo cosa dice: "Tra la fantasia, il modo di recitare ed il gioco, quella di Troisi è una cultura piena di ironia. Massimo ha avuto veramente grande la capacità e la forza di comunicazione, la gestualità e l'arte dell'improvvisazione, ma un'improvvisazione che non poggia sul vuoto, fatta da una meccanica di tempi comici spesso incalzanti, di gesti, di controtempi, di controscene, di scelta di spalle comiche azzeccate a volte più brave del comico stesso, come spesso è stato ad esempio Peppino de Filippo per Totò".
Si è detto parecchio, oltre che delle carenze registiche di Massimo, anche della sua pigrizia nel teatro e nel cinema, così come nella vita privata. C'è da dire a sua discolpa però che Troisi spesso raggiungeva delle punte di efficientismo acute come nel caso del gioco del calcio. Ma un poò di vero forse c'è, Lello Arena ricorda: "Quando ci riunivamo per scrivere, il posto dove si scriveva era il letto di Massimo, perché lui non si alzava mai ed infatti sul letto stazionavano fogli, macchine per scrivere...insomma tutto l'occorrente".
La frase "nun te preouccupà...nun te preoccupà...." (tipica frase filosofica e napoletana) è detta da Massimo in momenti teatrali differenti, ad esempio nello sketch della "Annunciazione", dove era la frase che Maria si sentiva sempre ripetere dal marito pescatore o in una gustosissima scenetta musicale in cui i tre suonano in maniera grottesca uno strumento musicale (Troisi il trombone).
La musica, sempre presente, era un altro amore segreto del La Smorfia e di Troisi.
Enzo Decaro: "All'inizio, aiutati da Pino Daniele, ci piaceva fare i cantautori. Ci sono infatti molti pezzi inediti, il più bello è una specie di favola senza titolo con testo di Massimo e musica mia. Il pezzo è molto poetico, c'è un principe in un bosco che corre verso un castello a baciare la sua donna che è addormentata come per incanto. Ma poi arriveranno dei personaggi malvagi a portare lo scompiglio...".
Questa favola ci fa pensare a quanto l'animo di Troisi fosse poetico. Sembra quasi "La bella addormentata nel bosco" o comunque una storia di principi, dame, draghi e principesse.
Troisi scriveva anche cose in italiano, quindi, nonostante il suo dialetto "troisiano" la facesse quasi sempre da padrone.
La religione, un tema spesso affrontato dalla Smorfia, è vista in maniera personalissima, cercando di sfuggire il luogo comune e la troppa autorità. Il monologo con Dio, per fare un esempio, è la summa di una serie di idee ben radicate nell'animo di Troisi.
Abbiamo parlato del CTS, il luogo legato agli inizi di Troisi. Che dire di esso? Beh, era una specie di sottoscala adibito a teatro, poco professionale, attrezzato con un pcolo palcoscenico e materiali grezzi. Non c'erano, infatti, vere e proprie tavole teatrali, ma una vecchia pedana raccattata da qualche scuola elementare. Uno dei personaggi che più si adoperava per mandare avanti il centro era Renato Barbieri,tra l'altro uno dei fondatori,che anche attualmente continua a girare per l'Italia e l'Europa con un teatrino itinerante di marionette.
Ritornando a Massimo Troisi c'è ancora una cosa importante da dire: è un "non collocabile", anche se dietro di lui c'è una tradizione culturale ben precisa che però lui capovolge completamente,essendo stato un innovativo ed avendo creato cosiì nuovi archetipi napoletani. Con lui nasce la nuova tipologia napoletana di "antieroe", la vittima dei tempi moderni.
Massimo Troisi è stato un anti-divo che sfuggiva alle regole,un curioso e folle personaggio,come la maggior parte dei comici: davvero qualcosa di molto potente.


Claudia Verardi
....Napoletanita'