Le tipologie.


1) Il mito dell' antieroe ed il ribaltamento della figura classica napoletana.

Di queso "antieroe" ne abbiamo già parlato analizzando la cinematografia di Massimo Troisi, in quanto è una tipologia pittosto ricorrente in quasi tutti i suoi film.
In realtà "l' antieroe" non è un' esclusività troisiana, ma è simbolo un po' di tutta quanta la generazione dei "Nuovi comici". La definizione di "antieroe" è imprecisata e difficile da spiegare: è un personaggio qualsiasi, un uomo di tutti i giorni che cerca di vivere con naturalezza la quotidianità, imponendosi di non atteggiarsi, appunto, troppo ad eroe, ma convivendo con la sua natura di uomo, a volte, anche debole ed indifeso.
"L'antieroismo" di Troisi si concretizza soprattuto nel fatto di andare contro gli stereotipi del napoletano che viaggia solo per trovare un lavoro, che si compiange inutilmente e che si atteggia a filosofico cantore dei suoi innumerevoli guai.
Il napoletano di Massimo Troisi non è, più quindi, un eroe e non è neanche un emigrante, che in fin dei conti, sempre un eroe è...
Dunque il ribaltamento della figura di napoletano da sempre proposta nel cinema e nel teatro, è molto presente in tutti i suoi film.

2) L'amore ed il matrimonio

L'amore è, come nella maggior parte di tutte le altre cinematografie, un sentimento molto indagato da Massimo Troisi.
Troisi è un autore che nei suoi film guarda molto all'amore, anche se da punti di vista del tutto diversi tra loro. Partendo dai primissimi film, soprattutto "Ricomincio da tre" e "Scusate il ritardo", notiamo un grosso cambiamento nell' esporazione del sentimento amore e nell' istituzione del matrimonio rispetto agli ultimi film.
In "Ricomincio da tre" l'amore è vissuto dal personaggio protagonista in una situazione di svantaggio rispetto alla sua donna. Infatti è lei che conduce il gioco, è lei che propone e dispone, è lei che oltre che a fargli da compagna, gli fa quasi da mamma. In questo film il cineasta si è rivelato quasi un femminista, ponendo le donne in una posizione di rilievo, non dal punto di vista del testo filmico, del suo svolgimento o delle gag, ma dal punto di vista della posizione presa di fronte al modo di vivere l'amore ed i sentimenti i genere.
In "Scusate il ritardo" il protagonista maschile continua ad essere sempre molto titubante nell' affrontare la storia con una donna ed infatti non riesce mai a prendere delle decisioni. In questo film il concetto di matrimonio (come si vedrà ancor più chiaro in "Pensavo fosse amore..." ) ed anche quello di "fidanzamento" (così come è inteso al Sud e specialmente a Napoli) è completamente stravolto da Troisi. Il cineasta ci spiega addirittura in "Pensando fosse amore..." che "un uomo e una donna sono proprio le due persone meno indicate per sposarsi e stare insieme"....
Quest'ironia la dice lunga sull' impossibilità di Troisi di costruire ed ancor di più mantenere saldo un rapporto.
In "Scusate il ritardo" gli amici di Anna, la donna di cui Vincenzo di innamora, sono "fidanzati" e sono infatti antipatici, soprattutto lui, in cui l'occhio cinematografico e soprattutto mentale di Troisi vede un'incarnazione del suo opposto. I "fidanzati" in questione non riscuotono affatto le simpatie di Vincenzo: sono irritanti, noiosi, banali, insomma l'esasperazione del sentimento. Quindi, per Troisi, l'amore è molto importante, ma non deve mai scadere nell'ovvio deve sempre mantenere viva una scintilla, quella dell'imprevisto e forse, anche, dell'inaffidabilità.
C'è la voglia di una spalla sicura su cui appoggiarsi, ma c'è anche forte la voglia di stravolgere i luoghi comuni e guardare oltre le solite cose.
In questo film, quindi, come negli altri, il personaggio incarnato da M. Troisi, è imbevuto di inadeguatezza davanti a proposte d' amore totali che non riesce a colmare.
Il film, in cui, comunque, Massimo Troisi ha maggiormente indagato sul sentimento e soprattutto sull'idea del matrimonio rimane sicuramente "Pensavo fosse amor, invece era un calesse".
In questo film, molto più triste, ma sempre divertente quanto precedenti, un po' alla Chaplin, M. Troisi conduce una vera e prorpia ricerca sui sentimenti. Nelle cinematografie moderne Troisi ha avuto degli illuistrissimi compagni di viaggio che si sono mossi nella sua stessa direzione: primo fra tutti François Truffaut con "Il romanzo dei sentimenti", Ranier Werner Fassbinder con la critica del sociale e Pedro Almodovar con i suoi film pieni d'amore, sesso, follie, morte e, soprattutto, di rovesciamento di ogni tipo di convenzione. Nella prima parte di "Pensavo fosse amore..." Massimo non teorizza niente, ma è, anzi, addirittura pronto a sposarsi. Con il passare del tempo, però si renderà conto che solo il celibato (e forse visto che non si può dare nulla per scontato, neanche quello) è una scelta sensata. Questo film è veramente molto interessante se visto come focolaio di idee nuove riguardanti l'amore, il sentimento che da sempre visto come appiglio, baluardo di luce, illusione ma anche libertà, è qui indagato dall' altra parte della medaglia, che è poi, una delle sue accezioni principali: quello di lotta e battaglia continua tra i due partner ma, attenzione!!, si tratta di qualcosa in più che va oltre le solite schermaglie amorose.
Siamo in presenza, infatti, del classico rapporto ambivalente amore-odio, dove però l' odio non è un rafforzativo dell' amore, come spesso accade, ma un vero e proprio sentimento distaccato, che impregnato di indifferenza e distacco, viaggia su binari paralleli, ma ben poco complemetari all'amore, è per questo che Tommaso-Troisi si stupisce: "Ma come, l' odio e l' abitudine non sono elementi normalmente ricorrenti nell' amore? E allora com'è che non l'amo più? "
Troisi-Tommaso non lo sa e non lo saprà mai, ma sa che è così e lo accetta.
L' amore, insomma, è celebrato da Massimo Troisi con un certo fare impigrito dal gelo sentimentale degli ultimi anni, che ha rinsecchito le percezioni e la capacità di provare ad esprimere affetti, dove, forse, rimane solo una certa disattenzione emozionale nei confronti dell'altro.
Il rapporto FUORI/DENTRO - PIENO/VUOTO (riferito sempra all'assenza o presenza di sentimenti) è molto indagato da Massimo Troisi che ne è incuriosito, ma, al tempo stesso, impaurito.
Una frase che trovo estremamente vera ed è tratta dal libro di Chiacchiari e Salvi, è quella che dice: Troisi si trova con la macchina da presa ed il cervello piazzati all'altezza del cuore. Ed è proprio cosi, tutti (o quasi) gli aspetti della vita, anche nella finzione, prima scenica e poi cinematografica, sono sempre stati indagati da Massimo Troisi con il cuore, più che con l'anima ed il cervello; non c'è altro da aggiungere, Troisi e proprio il comico dei sentimenti. Ad ogni modo, il Troisi uomo cosi come il Troisi registra, finge di dominare i sentimenti, ma, in realtà, come tutti, li subisce. a volte cerca, nei film, di dimostrare che la ragione pu ò prevalere, ma invece salta subito fuori che il cuore, lo stomaco, la pancia hanno la meglio e che l'intelletto serve più a plaare il dolore e l'eccitazione (come magica panacea ...) che a modificarlo.

3) L'amicizia e la famiglia

Nei primi film, "Ricomincio da tre" e "Scusate il ritardo", l'amico del cuore è Lello Arena, l'amico della vita di tutti i giorni.
Negli altri, invece, l'amico di turno è sempre visto con più distacco, quasi fosse un conoscente o poco più.
Il concetto di amicizia si è quindi trasformato: partendo dall'amicizia più intima e confidenziale, in cui si divide tutto (pene d'amore, soldi, tristezze e gioie) si arriva ad un tipo di rapporto, si amichevole, ma sicuramente più distaccato, fatto di scambi e, talvolta, quasi interessi.
In "Ricomincio da tre" ed anche in "Scusate il ritardo" L'amicizia è vista in maniera asfissiante, quasi morbosa. I personaggi giocati da L. Arena (Lello nel primo film e Tonino nel secondo) sono delle sanguisughe, delle presenze vampiresce che si abbarbicano in maniera "ederesca" a Troisi. Ed ecco che lui vorrebbe liberarsene, anche se in fondo gli dispiace e preferirebbe invece poterli sempre aiutare.
Ritorna ancora una volta l'ambivalenza tanto cara a Troisi: SI/NO, PIENO/VUOTO, LIBERTA'/IMPEGNO. L'ambivalenza, è, del resto, sempre presente nei concetti e nelle teorizzazioni troisiane, come è ben chiaro ed evidente in tutte le sue opere.

4) La cultura

Il rispetto per la cultura, le autorità, il potere era stato inculcato a Massimo Troisi dal padre.
Il rapporto, quasi d'inferiorità con gli ambiti culturali, Massimo lo aveva anche con i medici: si sentiva spesso ridimensionato, nel rapporto dualistico, di fronte ad una persona che sapeva più di lui. Forse questo era anche un fatto che aveva a che fare con la sua vita da cardiopatico, ma ancor più, sicuramente, con il fatto di provenire da una famiglia, piuttosto modesta e "umile", aggettivo, peraltro, tanto usato tanto da Troisi stesso nei suoi sketch.
Forse in famiglia Massimo non si era sentito, come tutti i ragazzi del sud di buona famiglia, educati in un certo modo, libero di esprimere le sue opinionie le sue idee, e soprattutto di coltivare ed analizzarle.
Ed è anche per questo, che quando Troisi ha finalmente potuto tradurre in film e immagini le sue idee, queste hanno subito dimostrato pienamente il loro sapore vero, la loro genuinità ed autenticità.
Massimo Troisi: pienissimo di inventiva, fantasia, anche se un pò scarsino sul lato tecnico. Ma comunque per lui la cultura ha sempre contato tanto.
Ma una cosa importante Troisi, l'aveva comunque capita: che la cultura è un fatto principalmente personale e di lunga costruzione, attuabile, spesso, anche come autodidatta. Dice Troisi: " Ho capito che le mie idee, anche se non avevo i termini, o i presupposti culturali dei libri, per esprimermi, erano comunque nobili, perchè erano mie e già per questo, quindi, valeva la pena di elaborarle, di ersprimerle, magari anche con rabbia e cattiveria..." .
Troisi iniziò a prendere fiducia in sé stesso quando cominciò a parlare in pubblico a Torre del Greco (anche se lui abitava a S. Giorgio a Cremano), dove si riunivano ad ascoltare le due dissertazioni ed i suoi monologhi da Napoli e Portici.
Anche il concetto di cultura di Massimo Troisi è inserito perfettamente nel ribaltamento: i protagonisti dei film, da sempre colti, belli ed invincibili, sono nei suoi culturalmente impreparati o si esprimono quasi sempre in dialetto. Questo non vuol dire che siano meno "colti", ma sicuramente imbevuti di una cultura diversa ed un pochino più grossolana.
Facendo un po' un excursus lungo i film di M. Troisi ed analizzando il modo in cui si affronta il tema della cultura nelle varie opere, è possibile capire fino in fondo le idee di Troisi al riguardo.
Nel primo film Troisi mette il personaggio principale, Gaetano, un giovane timido, imbranato e poco colto in contrapposizione a diversi personaggi più sicuri di se e delle loro conoscenze: Franky l'amico-predicatore che fa della "parola" il principale strumento di conoscenza e comunicazione, e, soprattutto, Marta che è infermiera in un manicomio (anche qui ritorna il riferimento all'intelletto, se pur malato) con precise velleità di scrittrice.
In "Scusate il ritardo" il tema, ormai sempre più caro a Troisi, ritorna nella parte iniziale del film, quella in cui Vincenzo (Troisi stesso) fa la conoscenza di Anna (G. de Sio).
"Ma tu, che... andavi a scuola con Patrizia? "
"Io a scuola, quando andavo io, a scuola, ero il terzo...prima di me c'erano Balocco e Cimmino. Cimmino studiava... Balocco era un po' raccomandato, era il nipote del segretario... sapeva solo il Giappone... e mica che ne so', la densità o le risorse... ma solo i giapponesi sono bassi e di pronta intelligenza... e la professoressa diceva: "bravo vedo che hai studiato!! " Ma perché, solo perché era il nipote del segretario? ".
Qui Troisi inizia quasi a "denunciare" un altro argomento scottante: le raccomandazioni, che tanto peso hanno, purtroppo, nella vita di tutti.
E che dire di "Non ci resta che piangere"?
I due protagonisti, Mario e Saverio, rispettivamente un bidello ed un maestro, verso la metà del film incontrano il mitico Leonardo da Vinci, con il quale cercano di mettersi in competizione e di farsi notare per ottenere un aiuto per delle invenzioni. Ed ecco che, anche qui, il ribaltamento delle situazioni avviene, come al solito, in maniera prepotente: alla fine sarà il Maestro a non riuscire a capire nemmeno il funzionamento del termometro o del gioco della scopa.
La battuta più simpatica rimane, comunque, a mio avviso, quella detta da Camillo, all' inizio di "Le vie del Signore sono finite", quando si trova sul treno con il fratello Leone (M. Messeri) e conosce un tipo (M. Bonetti) a cui subito chiede: "Scusate ma voi siete uno intelligente? " A Napoli, per uno intelligente si intende uno colto, che ha studiato. La battuta è divertentissima, quindi, proprio perché Camillo mescola la cultura intesa tradizionalmente ad un tipo di espressione puramente dialettale (in questo caso napoletana) ma non per questo inferiore.
Il film, invece, dove, c'é stato il tentativo maggiore di avvicinare i due mondi, quello della cultura tradizionale e quello della cultura spicciola e giornaliera, è stato "Il Postino".
Qui Troisi, incarnando il portalettere che unisce ed avvicina i due emisferi, sublima il concetto e lo estende all'infinito.

5) Napoletanità, Napoli, Il Folklore, odio o amore?

Troisi, nonostante fosse per un ribaltamento del classico cliché napoletano (tipologia dei personaggi, recitazione, idee...), auspicava ad un recupero ed a una valorizzazione della napoletanità.
Uno degli scopi principali di Massimo Troisi era quello di riuscire ad essere popolare in tutt'Italia, nonostante le grandi differenze regionali del nostro Paese, e questo perché il regista era convinto che il patrimonio artistico e culturale non può esser limitato da latitudini o steccati.
Far ridere é sempre stato difficile,ma non bisogna mai analizzare troppo il substrato, i meccanismi e le motivazioni della comicità.
Nella comicità partenopea, Troisi è stato un innovatore ed è stato prima specchio di se stesso e poi della sua gente. La fisicità di questo attore si esprimeva indubbiamente al meglio con le esibizioni dal vivo, che gli permettevano un rapporto col pubblico più caldo e diretto.
Troisi si rinnovava in continuazione, utilizzando per la rappresentazione della nuova napoletanità, nuovi linguaggi e forme espressive originali. La napoletanità di Troisi è un processo che va avanti per antitesi e per opposti: da una parte la rinnega e dall'altra la ricerca continuamente e disperatamente.
Il rapporto che Troisi, quindi, intraprende con Napoli e con la "napoletanità" è essenzialmente d'amore, ma è un amore vissuto da lontano, come tutti quelli più grandi c'è una punta d'odio, che gli consente però di capire quanto ami la sua città e quanto sia importante preservare il patrimonio artistico e culturale, pur cambiandolo e rinnovandolo.
Napoli è inserita in ogni sketch, in ogni film di Troisi, ed è un po' un filo conduttore che attraversa la sua produzione.
Massimo Troisi, come disse lui stesso in un'intervista, era una parte di Napoli e, a sua volta, Napoli era una parte di se stesso. Anche quando non compariva direttamente, c'era, non come realtà specifica o particolare, ma come frammento di una realtà di più ampio respiro che varca i confini regionali.
Napoli, la napoletanità, è per Troisi, folklore, ma non solo: è anche lo specchio dello smarrimento esistenziale, del crollo di certe ideologie e dell'inaccettabile rassegnazione che appartengono al vissuto di tutti e non solo dei napoletani. Del resto i personaggi interpretati da Troisi parlano, è vero, napoletano ma, secondo il regista, avrebbero potuto parlare qualsiasi altro dialetto.
Napoli è stata sempre una città complessa e difficile da capire e interpretare, ma Troisi lo ha fatto, anche sfruttando i moltissimi stimoli creativi provenienti da essa.
Troisi nella sua napoletanità, ci ha immesso qualcosa di veramente innovativo, anche rispetto ai grandi del passato: il superamento dei confini linguistici, razziali, interpersonali, ma specialmente amorosi. Sembra, infatti, strano che una ragazza possa dirigere le fila di un rapporto di coppia con un ragazzo del sud; ma invece è cosi, e quindi, anche in questa relazione si estrinseca una nuova maniera di essere napoletani ed accettare certe "nuove" situazioni; c'è, però, a questo punto un fatto fondamentale da chiarire: nei primi film di Massimo Troisi, ci troviamo quasi sempre di fronte a storie che raccontano il modo di essere napoletani e non Napoli come città.
La napoletanità vera e propria incarnata dall'attore è molto più evidente (come elemento di confronto e scontro con altri tipi di culture) nei personaggi di altri film girati da Massimo con altri registi, come i tre con Ettore Scola e "Hotel Colonial" della Torrini.
L'attore nei suoi film, ci dice che le banalità che si dicono e si scrivono su Napoli e i suoi abitanti, sul suo mare e sul suo Vesuvio, sono decisamente troppe. La vita a Napoli è, invece, ben altra cosa: è un'arte sottile.
W.A. Goethe diceva che solo a Napoli ognuno vive in una inebriante dimenticanza di sè. Napoli e tutto il suo cinema, con il sorriso ed il sentimento, aiutano l'intelligenza nel mestiere di vivere.

6) Le figure femminili dei film.

Il linguaggio filmico troisiano punta molto sui personaggi femminili, oltre che naturalmente, su quelli maschili.
Il cinema è visto, da questo cineasta, come amplificazione della vita e come mezzo che gli permette di calarsi nei personaggi interpretati cosa che gli è molto utile anche per scoprire una parte di sé. Troisi scava in profondità nei suoi personaggi, l'incarna e li fa incarnare più che interpretare, e sa usare il registro della leggerezza per dire la verità, anche se avvolte questa può essere pesante e dolorosa. Troisi esprimeva una forte intensità sullo schermo cosi come nella vita e si trova in una situazione diversa da quella prevista dalla comicità allo stato puro e spesso inutile: per Massimo uno degli aspetti più importanti e frequentare il più possibile il lato più comico delle cose, attenendosi alla loro parte più seria, nel cinema cosi come nella vita. La caratterizzazione dei personaggi femminili di troisi è molto particolare: a tratti, vista l'importanza che attribuisce a queste figure ci sembra quasi un femminista.
In realtà, se da una parte le donne dei suoi film sono vincenti, sicure e indagate in maniera profonda, dall'altra sono sicuramante anche un rafforzamento narcisista ed autorappresentativo dei personaggi maschili.
Tutte le attrici che hanno partecipato ai suoi film sono state sicuramente brave; ne citerei almeno due: la Marchegiani in "Ricomincio da tre" e la De Sio in "Scusate il ritardo".
La prima è stata perfetta nella realizzazione del ruolo del novello prototipo di donna inizio anni '80: quello della femminista, conduttrice nella vita cosi come nel gioco amoroso.
La De Sio, invece, forte anche del suo bagaglio teatrale, ha saputo essere dolce e forte, sensuale ed aggressiva, remissiva e prepotente, attenta e nevrotica.
 

7) Il simbolismo religioso.

La religione è uno dei temi troisiani più delicati e difficili da interpretare.
Per Massimo, come forse per tutti i napoletani, la religione era tutto e niente, era un qualcosa da esaltare, ma da cui spesso dissentire, ed era, ad ogni modo un punto di riferimento. Come già è stato detto, in una intervista con la Rossellini, Troisi cercò di spiegare il motivo per cui la stragande maggioranza dei napoletani affidava in maniera così totale le speranze, le aspettative e le illusioni alla religione.
"La sfiducia - dice Troisi - nelle istituzioni e nel governo è cosi forte, che non resta che rivolgersi alla Madonna, a Dio e ai Santi ... .
Questo riferimento, nella produzione troisiana, è continuo e non è esclusività cinematogrfica, ma risale alle prime esperienze teatrali.
In "Crocifissioni d'oggi", che è uno dei primissimi lavori, risalente al periodo in cui il gruppo ancora non si chiamava "La Smorfia", ma "Rh negativo", uno dei simboli religiosi per eccellenza, la croce, fu usato per indicare la durezza della vita al giorno d'oggi, ed il risultato fu molto efficace.
Negli sketch de "La Smorfia" il riferimento religioso è spesso presente, come nel "Monologo con Dio", nell' "Annunciazione" ed in "San Gennaro".
La cosa più singolare del rapporto dell'attore con le entità religiose è il senso di familiarità con cui li tratta.
Leggiamo uno stralcio preso da "San Gennaro".
Lo sketch si svolge in chiesa, dove troviamo Troisi gia' intento a pregare davanti alla statua di San Gennaro.
Entra Lello Arena.

ARENA : San Genna', buon giorno!!!!!!!
TROISI: Ammo fernute 'e fa'. Sta' parlanno co' frat', sta parlanno...manco nu poco d'educazione.San Genna', ci siamo spiegati? ...no, io'o faccio parla' a chisto ......a ma che me n'import.....tanto..... tu gia' ssaje chell' che 'e fa......
ancora
TROISI: San Genna', guarda comme t' o' ddico,San Genna', io so' cliente e vogli 'o trattamento ........Genna'....
ARENA: Gennaro?
TROISI : Ci sto in buoni rapporti!
ARENA: Ma che cosa, quando mai ,ma famme 'o piacere.....
TROISI: Gennarino.....
ARENA: E pure i vazzeggiativi, mo'.....
TROISI: Gennari', ci siamo spiegati.....

Ma se nella produzione teatrale il tema religioso è toccato senza propositi blasfemi ed in maniera allegra e divertente, nei film Troisi lo rende in maniera ancora più spassosa. L'esempio più divertente si trova ancora una volta in Scusate il ritardo, con la sequenza della famosa "Madonna che piange". Nella stanza dove entra il prete per benedire la casa, Vincenzo si esibisce in un dialogo che è, essenzialmente, un monologo:

PRETE: Vincenzo, ci vieni a vedere la Madonna che piange?
VINCENZO: Padre, cioe', se rideva venivo, 'o vero......nun cia' faccio chiu' a vere' gente che chiagne.......

Troisi aveva una sua forma di religiosità che rifuggiva il luogo comune e l'autorità, anche se questa autorità poteva essere quella supema di Dio. Ed è per questo, forse, che cercava di "umanizzare " le autorità religiose: era un modo di sentirsi "alla pari", visto che ne aveva comuque paura ed attuava così un processo difensivo di "ridimensionamento".
Nel "Le vie del Signore sono finite", la Madonna che compare nei sogni sia della sorella suora che dell'amico, è altrettanto umanizzata dal regista. Infatti, quando l'amico, emozionato, gli racconta di averla sognata, Camillo di rimando, risponde: <<........Embe', era 'a Maronna.....si venesse 'nsuonn a mme, sapesse je che ce chierer'....>>
Se non avesse avuto problemi con la censura,probabilmente Massimo Troisi avrebbe ampliato la dimensione religiosa già presente nel suo cinema. Infatti, Troisi, soprattutto con La Smorfia, ebbe problemi con la censura : nel 1981, quando' in onda per la RAI il "Monologo con Dio", la RAI stessa chiese che venisse tagliato, perche' l'attore nello sketch usava un tono familare e quasi di rimprovero.
La religione, in effetti, Massimo l'aveva sempre subita in maniera severa e quasi didattica, ed era anche per questo che voleva sdrammatizzarla. Perfino la nipotina del protagonista di "Scusate il ritardo" si lamenta perché è costretta dalla madre a ripetere il catechismo, ma è in realtà Troisi stesso a lamentarsi.
I rapporti con gli altri: con i genitori, con il partner e perfino con Dio , sono per Troisi tutti confluenti da direzioni opposte in una unica, poiché le dimensioni sociologiche collettive corrispondono a quelle personali di ognuno di noi.
Il problema è, anche in questo caso, generazionale: Massimo, come gli altri suoi coetanei, vuole in continuazione sbarazzarsi degli schemi con cui la maggioranza della gente decifra la realtà.
 

8) La malattia.

La malattia è un tema ricorrente soprattutto nella produzione finale di Massimo Troisi.( Come adesso nei film di VINCENZO SALE MME...)
Il film su cui è imperniato questo tema, presente comunque in quasi tutti gli altri, è "Le vie del Signore sono finite".
Il tema è fortemente legato ad un altro sempre caro a Troisi: quello dell'amicizia. Per Massimo Troisi, quindi, la malattia, oltre ad essere un qualcosa di personale di cui sentiva spesso il bisogno di parlare, era anche qualcosa che lo portava ad esaminare fattori contingenti, come i questo caso poteva essere un rapporto d'amicizia.
Ricorrere a certi temi, per Troisi era anche un fatto abbastanza inconscio.Infatti spesso diceva: <<Io penso ad un film e poi mi accorgo che ci rientra sempre la religione, la malattia, la famiglia>>.
Troisi parlava della vita privata nella vita pubblica: parlava della sua malattia inserita nella malattia del cinema, affrontando il lato ipocrita della malattia, quello dello "...zitto, non parliamo, ci può sentire, ...diciamolo a bassa voce..."
A Massimo Troisi piaceva contrapporre il quotidiano con l'esasperato, senza passaggi intermedi e banali, e la malattia gli dava l'opportunità di fargli vivere certe situazioni in apparenza normali, in modo profondo.

9) Il mito di Pulcinella.

La figura di Pulcinella è stata ripresa da Massimo Troisi fin dai primi momenti teatrali, negli spettacoli dedicati alla riscoperta delle famose "pulcinellate " di Antonio Petito.
La Smorfia, ai primi tempi del CTS, era solita fare abbonamenti di 4 farse dedicate, per l'appunto,a Pulcinella.
Ma il personaggio di Pulcinella è stato, da Troisi, riveduto, corretto e reinterpretato.
Da sempre nel teatro napoletano la maschera di Pulcinella è stata quella piuì amata e rappresentata, e Massimo Troisi, dandole una chiave di lettura piu' moderna, la ha riportata in una posizione d'attualità negli anni '90.
Alla maschera ci si è sempre rifatti per capire e conoscere i tratti socio-antropologici di Napoli: infatti, nella maschera si individuano immediatamente, alcuni tratti fondamentali della cultura napoletana, ovvero il barocco popolaresco associato al patetismo, alla parodia, all'ambiguità, alla logorrea ed alla gestualità vivace e pittorica.
Essendo, poi, questi, i tratti salienti della recitazione di Troisi, è facile notare un'analogia tra la maschera di Pulcinella e quella dell'attore. La prima è un archetipo appartenente all'immaginario collettivo, in quanto rappresentante degli ideali dei popoli ed anche dei loro impulsi trasgressivi; la seconda è quella di un eroe moderno, immerso in una dimensione quotidiana, ma quasi atemporale.
Pulcinella era un personaggio di estrema importanza a Napoli, era il difensore della comunità, una sorta di portafortuna il cui fantoccio veniva spesso collocato in cima ai campanili a difesa delle città dalle minacce esterne. La maschera di Pulcinella, pur non essendo di Napoli città, (i natali le si attribuiscono ad Acerra o, in tradizioni di minor peso, a Giffoni, Pontesalice o Benevento) è fortemente urbana ed è un chiaro specchio della cultura metropolitana di Napoli. Forse la tradizione ha voluto così, come se avesse voluto attribuire alla periferia tutta la "demenza", l'infezione l'inqiuetitudine... é la diversità del lontano/vicino, in cui ci si possa negare e riconoscere allo stesso tempo.
In Pulcinella è stato visto il riconoscimento di parecchi simboli. Da buffone a contadino, da maschera della commedia dell'arte fino a diavolo, satiro ed, addirittura, simbolo fallico. Qest' ultima è un'interpretazione di J. Lacan, che in un saggio spiega come questa dimensione sia manifestata, oltre alle analogie morfologiche ed alla voce in falsetto, anche sul piano fonematico.
Pulcinella ha anche un'altra origine, molto più romantica: quella della discendenza dal pulcino, dal tacchino, che è poi altrettanto un simbolo fallico. Il valore fallico di Pulcinella, riconducibile ad altre figure del folklore europeo, è evidente anche negli oggetti e negli animali con
cui si accompagna. La radice tematica latina del nome è senz'altro "pullus", termine adatto a designare cuccioli d'animale ( in inglese pets), da cui poi è derivato punchinello, pulcinello ed, infine, pulcinella, che in napoletano rimane "pulicinella".
Pulcinella nacque nel 1609 per opera di Silvio Fiorillo, che ne fece il protagonista comico di una farsa, "Lucilla Costante", pubblicata postuma nel 1632 e resistita fino ad oggi.
Le interpretazioni di Pulcinella sono state tantissime, da Petito a Massimo Ranieri, per arrivare ai giorni nostri.
Ne "Il viaggio di Capitan Fracassa" Massimo Troisi reinterpreta il ruolo di Pulcinella in maniera molto particolare: per riaggiornarlo, incarna proprio quello discendente diretto del pulcino e non certamente da un uccello rapace. Nel film la maschera di Pulcinella è fatta di grossa mimica facciale e corporale; il viso si contrae in smorfie di timidezza, incertezza e pudore ed il linguaggio è al limite del monologante. Inoltre ha una spiccata tendenza vittimistica, che si evince anche dagli sguardi ora di disillusione, ora di illusione.La sua figura sceneggia la miseria, sfiora il ruolo sociale del miserabile e di questo pare addirittura compiacersene.
Il Pulcinella di Troisi si arroga il "diritto" teatrale di lamentarsi e compiangersi, retaggio di secoli di teatro fatto in questo senso, senza però mai perdersi d'animo.
Con "Il viaggio di Capitan Fracassa", il linguaggio, la gestualità e l'innato atteggiamento teatrale di Troisi trovano spazio in una adeguata e bellissima trasposizione cinematografica.
Ironico, semplice, sensibile ed in bilico tra finzione e realtà: il Pulcinella di Massimo Troisi è, anche se carico di retaggi, un personaggio nuovo ed irresistibile.
 

10) Il riferimento al teatro classico napoletano.

Il lavoro di Massimo Troisi è sicuramente impregnato di retaggi teatrali, soprattutto del teatro napoletano d'autore: Eduardo, Scarpetta,Petito e Totò.
Il regista, però, fin dai primissimi anni della sua carriera, ha sempre avuto l'idea di riformare in qualche modo lo spettacolo napoletano, rifacendosi al vacchio ed inserendo qualcosa di nuovo.
L'importante, per l'autore, era rialzare le sorti dell'arte comica partenopea e sostituire ai vecchi repertori una commedia divertente che si muovesse sull'onda di fatti reali appartenenti al quotidiano di tutti .
Anche la recitazione si adeguava alla nuove idee: molto innovativa, si differenziava dal modulo classico napoletano, enfatizzato e forse anche un po' falsato, essendo meno calcata e caricata, con soggetti e tecniche più essenziali.
In molti hanno criticato Troisi, dicendo che in fondo non ha fatto niente di nuovo; ma, forse, queste persone dimenticano che esiste una sorta di mimesi senza fine alla quale nemmeno la magia del più grande attore può sottrarsi. Troisi ha dato un input verso un tipo di spettacolo più nazionale, che ha però conservato quanto appreso dai grandi.
Massimo ha immesso nel nuovo tipo di napoletanità, molti altri elementi: rifacimenti, riferimenti continui ad altre cinematografie e letterature (anche straniere), espressioni di nuovi modi di pensare.
Oltre alla rappresentazione del quotidiano, nel cinema di Massimo Troisi trova posto la fantasia: lo sfondo dei suoi film può essere Napoli, con il suo lungomare ed i suoi vicoli, ma anche Firenze (come nel primo film ) o una qualsiasi altra città. Oltre alla "sonorita' consueta", ci troviamo di fronte anche ad una "sonorità altra", fatta di annotazioni ed immagini, di contrasti e di "chiassosità", che può essere, in realtà, anche molto silenziosa.
Quindi tutta l'opera di Massimo Troisi e continuamente riferita, ed allo stesso tempo, allontanata dalla tradizione del teatro napoletano più classico.
 

11) Il linguaggio.

La nuova napoletanità poetica ed anti-eroica del cinema troisiano si esprime anche attraverso un certo tipo di linguaggio che per il regista, oltre ad essere un modo di esprimere i concetti, è un nuovo modo per esprimere sé stesso. Per Troisi la voce del pensiero già da sola basterebbe ad esprimere un'idea, ma è la verbalità che più riesce ad incarnare, ad impersonificare, a lasciar qualcosa impresso.
Massimo Troisi, oltre a recitare attraverso la gestualità, lo fa anche con il linguaggio, vero e proprio elemento attivo del suo cinema, personaggio che si completa con il suo.
Troisi si esprimeva quasi sempre con il dialetto, ma le coloriture provenienti da esso, erano necessarie per lo svolgimento dei suoi film, adatte ad esprimere introversione, intimismo e, spesso, sfacciataggine. Il linguaggio di Troisi è molto visuale e sonoro ed in alcuni tratti sfiora addirittura la "volgarità", intesa naturalmente nel senso buono del termine, è una volgarità primitiva che non offende, ma diverte.
I difetti principali del suo linguaggio, che pero' sembrano studiati apposta, sono le troppe ripetizioni, le lungaggini, i balbettii. Troisi sceglie la via scomoda del disordine apparente, un certo tipo di caos, un marasma della mente e dei sentimenti.
A Massimo Troisi va attribuito un grande merito: quello di aver capito che, in fondo, l' italiano non è divertente ed è poco utilizzabile nel suo tipo di cinema. Ed allora , via libera al cinema regionale e dialettale; come lui, anche Verdone, Nuti, Benigni......
 
 

12) La mimica

La mimica di Troisi sembra quella di un mimo. Ex attore di teatro, Massimo sa come usare il suo corpo anche nei film. Crea un efficace mix di stili recitativi e la sua esuberanza fisica lo rende degno erede di Totò, con un corpo stralunato e senza inibizioni, da certi punti di vista simile a Jerry Lewis o al modernissimo Ace Ventura.
Massimo Troisi non poteva essere incasellato in nessun genere, come attore era vero, autentico, grande interprete di se stesso.
La mimica di Troisi si rifa' moltissimo a quella dei suoi illustri predecessori: è, per esempio molto presente il contorsionismo burattinesco di Totò. Attraverso di essa, Troisi è riuscito a mettere in luce le sagome caricaturali ed i modi di essere non solo meridionali.
Un po' clownesca, un po' addolorata, a tratti dispotica ma sempre accattivante la mimica di Troisi è riuscita ad operare una comicità di "secondo grado", capace di ironizzare sulla comicità stessa.
Troisi ha lavorato molto con il "corpo" ed era consapevole dell'importanza di saperlo usare e muovere sulla scena.
Ecco cosa dice ancora una volta di lui Roberto Benigni: <<il corpo di Troisi era una cosa portentosa, nata per il comico. Lui era un bel ragazzo, ma la conformazione del suo corpo era proprio da comico: i movimenti che faceva erano essenziali per i suoi personaggi. Il culo (scusate...), le gambe di Troisi, il rapporto tra il busto e le gambe ...sembrava davvero un burattino. Le sue gag erano involontarie. Quella camminata in "Non ci resta che piangere"...Bellissima.

13) La poesia.

Tutta la cinematografia di Massimo Troisi è pervasa da momenti poetici e trabocca pensieri e sentimenti intrisi della poesia più pura e profonda.
In due film in particolare si fa riferimento a due grandi autori, attuali più che mai: rispettivamente, Jacques Prévert in "Pensavo fosse amore invece era un calesse" e Pablo Neruda nel recentissimo "Il Postino". Nel primo caso, la poesia è un mezzo di cui si serve Chiara, la piccola innamorata di Tommaso per farlo a sua volta innamorare. La poesia è un mezzo molto potente e questo Troisi lo sa. Chiara si chiude nel bagno conTommaso e gli porge un biglietto su cui ha copiato "Questo amore" di Jacques Prévert.
Del grandissimo autore di tante poesie, diventate come nel caso di "Les feuilles mortes" canzoni musicate da Joseph Kosma, e collaboratore di sceneggiature di film per Renoir e Marcel Carné, Massimo amò tantissimo la tragicità dei soggetti, stemperata dall'impronta che sfuma i contenuti spesso polemici in un malinconico umorismo.
Le poesie di Prévert, spesso brevi e molto visive, mostrano un passaggio piuttosto rapido dall' immagine al sentimento.
Un po' più complesso il discorso su Neruda,non per la difficoltà dell'autore in sé, ma per il valore particolare che quest'autore ha avuto nell'ultimo film di Troisi, "Il Postino".
Pablo Neruda, cosi come Skarmeta, dal cui romanzo è tratto il film, hanno molto affascinato Massimo Troisi. Del grande poeta cileno, in un misto di passione, sensualità e romanticismo, è citata nel film una delle sue poesie più belle: "Nuda". E' la poesia che Mario Ruoppolo dedica alla sua Beatrice Russo, di cui è follemente innamorato.
Le parole della poesia sono di Neruda, ma in realtà sono di Mario Ruoppolo, visto che egli ingenuamente e spontaneamenta dice: <<.......la poesia non è di chi la scrive, ma di chi serve......>>.
Il titolo preciso è "Nuda sei semplice" ed è tratta dai "Cento sonetti d'amore".

Nuda sei semplice come una delle tue mani
liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente
hai linee di luna, cammini di mela
nuda sei sottile come il grano nudo.
(delle cinque strofe, ne è riportata solo la prima.)

Questo è senz'altro una delle più belle dichiarazioni che il Postino potesse fare alla sua amata.Un'altra poesia citata nel film è "Mi piaci quando taci", che altettanto non ha bisogno di commenti, esprimendo in maniera evidente profondità d'animo abissali. La poesia è tratta da "Venti poesie d'amore e una canzone disperata"

Mi piaci quando taci perchè sei come assente
e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca
sembra che gli occhi ti sian volati via
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.
(é riportata la prima delle cinque strofe ).

14) La musica e l'incontro con Pino Daniele.

Il rapporto personale di Massimo Troisi con la musica era sempre stato buono, ma migliorò dopo l'incontro con uno dei più interessanti musicisti partenopei: Pino Daniele.
Massimo amava la musica napoletana: James Senese, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile e naturalmente Pino Daniele, con cui ebbe moltissime collaborazioni.
Uno dei suoi sogni era quello di riuscire ad imparare a suonare uno strumento, però, come ricorda Gaetano Daniele: <<... pigro com'era non si impegnava mai fino in fondo nelle cose...>>. C'è addirittura una cassetta contenente un'incisione inedita di Massimo che suona il sax.
Troisi è rimasto veramente nel cuore di tutti, anche nei musicisti delle nuove generazioni. I "Bisca 99Posse", nuovo gruppo Rap/Hip Hop di tendenza napoletano, ha dedicato nel disco "Guai a chi ci tocca", il pezzo "Omaggio a Massimo", 50 secondi di "vero" Troisi, lucido e comico, inserito per ricordare, senza retorica, il comico napoletano più intelligente e profondo degli ultimi 20 anni.
La collaborazione con Pino Daniele è stata molto stretta e fruttuosa per vari anni. Per il musicista partenopeo, Troisi ha scritto due canzoni: " 'o ssaje comme fa 'o core" e " T'aggia vere' morta".
La canzone "Quando", invece, scritta da Daniele per "Pensavo fosse amore...." è diventata un vero e proprio omaggio all'attore ed è inserita dal cantante in tutte le scalette dei suoi concerti.
Con le due canzoni da lui scritte Massimo Troisi ha dimostrato davvero una grande sensibilita' artistica.


Claudia Verardi
....Napoletanita'