Splendor
(1989)


E' il primo dei tre film (giudicato dalla critica una delle prove peggiori di questo regista) girato da Massimo Troisi sotto la regia di Ettore Scola.
Nel film si intrecciano le vicende di tre personaggi: il proprietario del cinema Splendor (Mastroianni), il proiezionista della sala (Troisi) e la maschera (M. Vlady).
"Splendor" consiste, essenzialmente, dei ricordi a cui i tre si lasciano andare in occasione dell'imminente chiusura del locale. Ma mentre gli operai stanno per smantellare tutto, la cittadinanza del paese in cui si svolge la vicenda, decide di unirsi per evitare la scomparsa del loro cinema. Il paese in questione è Sant' Arpino (in Ciociaria), che è stato scelto da Scola probabilmente per la sua aura poetica ed antica.
La trama è quella, sicuramente, del piccolo cinema di provincia che sta per chiudere per mancanza di spettatori, ma Scola con questo film ha voluto fare qualcosa in più:
un inno al cinema, quel cinema, che malgrado tutto, non morirà mai. Non è un'idea nuova, se vogliamo, quella di Scola. Prima e dopo di lui (da Fellini a Tornatore, solo per citarne un paio), molti registi hanno fatto dei film con la quasi unica intenzione di omaggiare il cinema. Il personaggio interpretato da Massimo Troisi è piuttosto interessante: si tratta di un pigro proiezionista, affascinato come un bambino dal cinema, che divora immagini su immagini dalla sua cabina di proiezione accanto a pellicole bobine e avvolgi-film manuale.
I divi sullo schermo non fanno altro che aumentare i sogni e le illusioni di Luigi (Troisi per l'appunto), come di tutti gli altri appassionati di cinema.
Nei film girati con altri registi Massimo Troisi ha sempre recitato in maniera "diversificata", e qui, ci offre un personaggio sognatore e realista allo stesso tempo, un po' dissimile dagli altri finora interpretati.
Spendor si apre proprio con la scena della chiusura del cinema e si richiude, in un finale quasi a cerchio, con la stessa scena, con una rivolta della gente che vuole continuare ad avere a tutti i costi il proprio cinema.
Nella tecnica di immagini, l'alternanza di inquadrature e piani sequenze, ora in B/N, ora a colori, è significativa e sta ad indicare il passaggio tra la fase presente (a colori) e quella passata dei ricordi (in B/N).
Del resto questa è, poi, una tecnica ricorrente nella scrittura di E. Scola (un altro esempio è "C'eravamo tanto amati", con V. Gassman, N. Manfredi, S. Sandrelli, S. Sattaflores).
Il proprietario dello "Splendor", Giordan, era un figlio d'arte, suo padre possedeva un cinematografo itinerante, ed infatti una delle scene iniziali, (in B/N), è quella di un pubblico che si sistema davanti a questo cinematografo rudimentale, per vedere un classico: "METROPOLIS" di Fritz Lang.
Poi si ritorna allo "Splendor" dove c'è una situazione di disordine (corrispondente anche a diversi m.d.m. anche se in generale, nel film, la m.d.p. non è molto mobile).
L'alternanza di fatti e di tecniche pervade tutto quanto il film, che procede nella narrazione rivelando molti particolari. Questo film è stato curato, da Scola e tutto il suo cast, veramente nei particolari: è per esempio interessante notare che la macchina di Giordan è targata FR (Frosinone)... ricordate? Siamo in Ciociaria!
Il riferimento al cinema indagato e non soltanto rappresentato è sempre molto presente e costante: quando Giordan spiega alla Chantal cosa debba fare il cinema, le dice: "Una cosa è certa, nel cinema non devi imbrogliare la gente, devi dirgli la verità!" quindi questo, oltre che un inno al cinema, è una vera e propria sorta di sperimentazione, di metacinema, di cinema che esplode nel cinema.
Nel film, è interessante notare, il riferimento a tutto il miglior cinema d'autore anni '40-'70: si respira "aria felliniana", un po' barocca e sognante, e sullo schermo del cinema viaggiante scorrono le immagini di tanti capolavori, da, appunto, "la Dolce Vita" di Fellini al mitico "Il Sorpasso" di Dino Risi (indimenticabili, Vittorio Gasman e Jean Louis Trintignant), passando per "Il posto delle fragole" di I. Bergman. Il linguaggio, o meglio il linguaggio visto come simbolismo, astratto e non, occupa, come in ogni opera che si rispetti, una posizione predominante. C'è un tormentone che Giordan scambia sempre con un amico è che è: "il dove e il quando" (detto da questo amico) e Giordan in risposta: "il come e il perchè!" si tratta di un simbolico gioco linguistico.
Tutto il film è pervaso da m.d.m. molto morbidi, che quasi inseguono i personaggi, per poi soffermarsi molto su di essi ed arrivare quasi a dei fermo immagine.
Il personaggio di Troisi è un personaggio che vive nel sogno e nell'illusione del mito del cinema. Inoltre, egli ama il cinema, e lo amerà sempre più, quando si renderà conto di infatuarsi della maschera dello "Splendor", la signorina Chantal (M. Vlady), con cui infatti avrà una brevissima storia.
E' comico vedere come lei parli in francese e lui in italiano (anzi in napoletano) e si capiscano perfettamente e, questo succede un po', se vogliamo, anche nelle realtà dialettali italiane. In effetti, è poi vero, che se ci sono altri linguaggi comuni (sguardi, gesti, movenze), ci si può parlare anche con linguaggi diversi.
Luigi (Troisi) all'inizio della storia dice che deve lavorare in un albergo, ma poi non ce la fa e preferisce ritornare a cercare un lavoro più consono ai suoi interessi, e allora... perchè non il proiezionista? Ed ecco che il tema della cultura ritorna, anche nella frase che Luigi rivolge alla signorina Chantal: "lei è molto colta, vero, signorina? ...".
Il cinema, per Ettore Scola in questo film è, in fondo, niente altro che un luogo magico, misterioso ed affascinante, dove la gente si incontra con la speranza e, spesso, la promessa di una vita migliore e diversa da quella quotidiana.
Quando Luigi, finalmente, riesce ad ottenere il lavoro come proiezionista. c'è un momento molto tecnico ed interessante: la dimostrazione, da parte del precedente proiezionista, di come rimontare la pellicola in caso di rottura, come effettuare il montaggio di certi pezzi, insomma sembra proprio la fase del "tagliare" e "incollare" del montaggio di un film, fatta prima dall'ex proiezionista e poi da Troisi stesso.
Nel film, pieno, tra l'altro, di inquadrature frontali e piani sequenza, c'è, dal punto di vista dell'illuminazione, un vago senso di oscurità, anche perchè è girato quasi tutto in interni (nello Splendor, per l'esattezza).
Il riferimento al cinema continua: Troisi, al bar con gli amici, dopo aver senteziato che "quando la leggenda incontra la storia, vince sempre la leggenda." (rafforzamento dell'alone magico del cinema), cerca di convincerli dicendo che quella sera allo Splendor davano "Toro scatenato" ed invece loro gli contrapponevano il ricco e succoso palinsesto televisivo.
Luigi-Troisi inizia a raccontare la storia del famoso pugile Jack La Motta che, da povero diventa campione di pesi medi.
Quando Mastroianni-Giordan gli dice che lo Splendor, che aveva conosciuto grandi fasti, è diventato piccolo, Luigi gli risponde "che è il cinema che è diventato piccolo, lo Splendor è e sarà sempre grande".
Ritornando al linguaggio, è interessante notare quanto Troisi ci ricordi Totò, in particolare, quando parlando dell'organizzazione di una retrospettiva jugoslava sui grandi maestri emergenti, dice a Mastroianni: "io un'idea ce l'avrei ... a me piace!". Questa era una tipica frase che Totò spesso usava, la ricordiamo in "Totò letto a tre piazze" ed in "Totò a colori" (tra l'altro primo film italiano a colori), nella mitica scena del vagone letto con la sua spalla, Alberto Castellano.
Un personaggio interessante del film è la Vlady che secondo me, essendo irreale e surreale allo stesso tempo, come figura incarna un po' il cinema: infatti tutti si innamorano di lei, come se si innamorassero del cinema, anche il signor Paolo, uno spettatore molto assiduo (P. Panelli), ma poi tutti si ravvedono per seguire la vita nel modo più quoditiano possibile. Il cinema è l'essenza di questo film e lo respiriamo in tutta l'opera, da Luigi che continua a raccontare le prodezze di De Niro, con "Il cacciatore" al manifesto della "Carica dei 101" nell'entrata dello "Splendor".
Il personaggio di Troisi, Luigi, è molto serioso e un po' pesante, Scola lo ha scritto alla sua maniera e Troisi, fedele, lo ha seguito, pur rimanendo legato ai suoi tipi di sempre. In una immagine lo vediamo addirittura con i baffetti, quasi più adulto.
Il motivo centrale del film, pretesto in fondo per l'omaggio al cinema, è quello della possibile chiusura della sala, ed ecco che allora Giordan le escogita tutte, inserendo tra gli spettacoli finanche un numero di strip tease, che alla fine però, consigliato da Luigi non farà fare, quasi per non imbrattare l'arte del cinema e lasciare il suo mito sognante intatto.
Linguaggio del corpo, quindi, oltre che linguaggio verbale, che è proprio una delle principali tematiche degli anni '90 di tutta la cinematografia mondiale.
Giordan nel corso del film, si pone una serie di domande molto profonde: "Ma chi va al cinema? Perché ci va? E poi cosa si aspetta?".
Questo è proprio uno dei messaggi del film, che ci fa capire quanto Scola abbia voluto fare, essenzialmente, un invito alla riflessione, sul cinema e, forse, sulla vita. Sulla scia delle immagini del film di F. Capra "La vita e' meravigliosa" (con J. Stewart), le riflessioni di Giordan continuano, e lo vediamo commuoversi al suono dei canti e delle carole natalizie. Sa che la sua lotta col cavaliere Lo Fazio (che vuole ad ogni costo comprare lo Splendor) non avrà esito positivo, e se ne dispiace.
Lui, il figlio del proprietario del cinematografo viaggiante ditta Giordan e figlio, preferirà la dignità, non cederà il locale, e, come A. Sordi in "Una vita difficile", non si calmerà fino a che non avrà dato all'avversario un liberatorio e sonoro schiaffone. Ma la situazione avrà un esito positivo: il cinema non chiuderà, come si capirà dalla penultima scena ferma su Luigi che, sul palco del cinema, augura BUON NATALE A TUTTI, dicendo che queste cose succedono solo a Natale!". Continua a scendere la neve sugli spettatori, la sala si fa buia e silenziosa, e rinizia lo spettacolo.


Claudia Verardi
....Napoletanita'